Il
dialetto di Prata Sannita fa parte della grande famiglia dei dialetti
napolitani. Risente di forti influssi molisani a causa della vicinanza di
questa regione, veramente ad un tiro di schioppo, nelle cui vicende spesso Prata
si è trovata coinvolta. Ragioni storiche, quindi, oltre che geografiche, han
fatto si che Prata si sia trovata ad orbitare commercialmente quasi sempre
verso la pianura campana, amministrativamente, talvolta, verso il Molise, il
che ha favorito il formarsi di un dialetto – quello pratese – per certi versi
atipico, come tutti i dialetti appartenenti ad aree promiscue di confine.
Le radici sono antiche ed eterogenee: si pensi alla
comunanza di Prata con l’antico Sannio; al successivo innesto latino; alla
lunga influenza del monastero di Montecassino che da Venafro, sotto i Pandone;
all’inclusione nella provincia di Campobasso nell’immediato anteguerra; alla
stessa direttrice viaria Isernia (e Venafro)–Alife–Benevento (via più breve per
il congiungimento e gli scambi tra queste città, con Prata luogo di transito);
si pensi agli inevitabili apporti linguistici arrecati dai signori napolitani,
o quanto meno di cultura partenopea, che Prata ebbero in feudo, a cominciare
dal celebre poeta Berardino Rota; all’appartenenza di Prata, quale ultimo paese
della diocesi, al vescovato di Alife. Si avrà il quadro per comprendere la
ragione del formarsi di questo nostro dialetto, alquanto atipico, sia rispetto
al napolitano che al molisano, alla cui evoluzione hanno appunto contribuito
non poco i fattori summenzionati.
Analogie ha il pratese, malgrado insignificanti
differenze tonali, coi dialetti parlati nell’area matesina di entrambi i
versanti e nella media valle del Volturno; analogie che si riscontrano anche
coi dialetti della bassa Ciociaria (Frosinone e Latina), specie ove si consideri
l’assoluta uguaglianza degli articoli determinativi e la u con cui
terminano i sostantivi maschili.
Si differenzia dal napolitano per vari motivi.
Innanzi tutto di quest’ultimo non possiede la coralità ed colore (evidente nel
pratese l’antica koinè centro-italica); poi per la diversità degli
articoli determinativi (gliu e lu, in contrapposizione al
napolitano ‘o; la ad ‘a; le ad ‘e: gliu
cane = ‘o ccane; la fémmena = ‘a fémmena; le fémmene
= ‘e ffémmene); per la pronuncia di alcune vocali poste in fine di
parola (in pratese u brevi, nel napolitano e/o semimute; gliù
canciégliu = ‘o canciéllo; gliù viéntu = ‘o viénto)
per la mancanza nel pratese del raddoppio delle consonanti iniziali (lu pane
= ‘o ppane; lu cafè = ‘o ccafè); per la tendenza del
pratese a pronunciare gl’ le parole terminanti in doppia (aniégliu,
contro il napolitano aniéllo; cavagliu = cavallo).